Fin da bambino eri affettuosamente devoto a Padre Pio, forse perché ne avevi sentito molto parlare in famiglia. Zio Adolfo raccontava spesso di averlo sognato durante una sua malattia. Allora si era recato a San Giovanni Rotondo, dove aveva constatato che la piazza e la chiesa erano proprio come le aveva sognate. E il santo frate, incontrandolo, gli aveva detto: “Ti aspettavo, perché hai tardato?”. Ed era miracolosamente guarito.
Tutto questo doveva avere avuto un impatto importante nella tua vita. Certo é che il tuo Padre Pio ti ha accompagnato in molti episodi significativi.
All’inizio del ’99, si affacciò nella tua vita una signora che diceva di essere un figlia spirituale di Padre Pio. Ti aveva telefonato da Catanzaro ed avevate parlato a lungo. Io osservavo, e notavo che dialogavi volentieri con lei.
Nel giorno della beatificazione del frate di Petralcina, il due maggio, tu, che desideravi molto assistere alla cerimonia, grazie allo zio Adolfo avevi ottenuto un posto d’onore per godere in pieno tutta la funzione. Ma quella stessa notte eri stato malissimo. E la mattina seguente, dopo una TAC d’urgenza, avevamo scoperto che il linfoma si era ingrandito, e ti procurava quei dolori insopportabili premendo contro lo stomaco.
E’ stato allora che ti ho investito con una frase rabbiosa: “Ma, come? II tuo Padre Pio non funziona, mi pare!! Ieri sei stato alla sua beatificazione, e questa notte si sono scatenati i dolori”.
Tu mi fissavi con quei tuoi grandi occhi profondissimi: “Certo mamma che Padre Pio funziona – rispondesti – ci ha fatto capire che dobbiamo lasciare l’Italia e andare negli Stati Uniti. Lì qualcosa succederà”.
Ancora uno sportellino si era spalancato per farci leggere la tua grandezza. Disarmata da tanta fede, ed umiliata dal coraggio che avrei dovuto infonderti io, quasi non mi ero resa conto che papà già stava progettando la partenza immediata.
Velocemente, tra preparativi convulsi, arrivò la domenica prima della partenza. La casa era invasa da amici e parenti che desideravano salutarti. Nel tardo pomeriggio suonò alla nostra porta Maria di Catanzaro. Era venuta dalla Calabria anche lei per salutarti, e chiedeva di parlare con te in privato.
II colloquio durò circa un’ora e, quando finì, io mi accorsi che i tuoi occhi erano velati e la tua mano destra stringeva una piccola croce di legno. Te l’aveva affidata lei, raccomandandoti di afferrarla nei momenti di dolore. Poi chiese di parlare con noi.
Gli amici intanto giravano per la casa ed il giardino, alcuni prendevano commiato, altri erano appena arrivati. II telefono era bollente. Comunque, ci chiudemmo con Maria nello studio di papà, e ascoltammo impietriti.
“Voi avete un Cireneo dentro casa – disse – Oppo sta aiutando Gesù a portare la croce”.
“Perché? – la interruppi subito – Non basta ancora?
Perché? Perche? Fino a quando?”.
Mi rispose con voce suadente ed il viso illuminato dalla fede, che non avremmo dovuto fare domande ma soltanto rimetterci totalmente alla volontà di Dio.
La mia reazione fu violenta.
Noi desideravamo fare la volontà di Oppo che era giovane e voleva vivere, e stava lottando per questo. Noi avremmo lottato al suo fianco, e avremmo chiesto, bussato, pregato, finché il Signore non ci avesse esaudito.
Lei dolcemente ci ricordò la storia di Abramo che aveva offerto a Dio il suo unico figlio, ed era stato premiato per la sua grande fede.
Cosi, con uno sguardo trasparente, pose fine al nostro colloquio, ma da parte nostra sussisteva qualche tensione.