La dottoressa Cantonetti ci aveva informati che le opzioni terapeutiche in Italia erano terminate, partivamo per tentare di salvarti la vita. Questa volta peró la nostra premurosa amica non poteva accompagnarci, e delegava a me la responsabilità della terapia del dolore durante il viaggio.

Ogni notte, prima della partenza, avevo ripassato la sequenza delle azioni con meticolosità ossessiva. Per tenere a bada un dolore medio, potevo far scendere la flebo lentamente, ma, per alleviare una violenta sofferenza, avrei dovuto spingere il farmaco, appena diluito, direttamente in vena.

Temevo l’avventura di questo viaggio, perciò avevo fatto in modo di arrivare m aeroporto immediatamente dopo la somministrazione, così che tu potessi affrontare tranquillamente le tante ore di volo.

Ed ecco il primo ostacolo: il mio passaporto era scaduto.

Non restava che tornare indietro di corsa, ed invocare aiuto. L’insostituibile amico Alessandro, superando qualsiasi Guinness dei primati, riuscì ad ottenermi un nuovo passaporto in dodici minuti. Ma ormai bisognava di nuovo somministrarti l’antidolorifico per l’imbarco, fortunatamente era accorsa Maria Cantonetti ed aveva provveduto lei stessa. Affannosamente tornammo a Fiumicino, scortati dalle sirene della polizia, e l’Alitalia ti accolse in classe magnifica, con sensibile partecipazione e discrezione. Avresti viaggiato con ogni confort.

Ma, durante l’atterraggio, ti lamentavi per il dolore che si stava risvegliando, ed io penavo, a causa dell’enorme siringa, ad iniettarti direttamente in vena il farmaco prezioso datomi da Maria.

Malgrado tutto, eravamo arrivati abbastanza riposati.

Ma l’aeroporto John Fitzgerald Kennedy era un inferno.

Avevamo perso e poi ritrovato tutti i documenti e il denaro. La Delta che ci portava fortunosamente a Houston era scomoda, e le hostess sgarbate.

Tra tanti affanni, eravamo arrivati a Houston. Ci sembrò di aver raggiunto l’Eden. Durante il periodo della tua cura saremmo stati da Pieretta e Alessandro.