Militina, appena arrivata, ti mostrò quatto bellissime mele, colte dall’’albero del nostro giardino.

Già, il tuo albero, il tuo melo.

Ti ricordi Adolfino, ti raccontavo che il giorno della tua nascita papà aveva voluto piantare in giardino un melo. Tu crescevi e l’albero ti seguiva.

Quanti nascondini hai fatto dietro al suo tronco che ti copriva tutto! Quante pallonate hanno fatto cadere le mele giovani! Quante mattinate passate all’ombra discreta del suo largo fogliame, chiacchierando con nonno Nicola!

Arrivarono i tuoi vent’anni. Tu ti ammalasti e, incredibilmente, anche il melo si ammalò. Noi non avevamo tempo di occuparcene, e tra una TAC e una chemio, ci eravamo raccomandati a Giulio, il giardiniere, di curarlo. E lui come un’abile chirurgo, aveva aperto il tronco a metà, scoprendo un grosso bruco che, all’interno, si nutriva della linfa vitale dell’albero. Allora aveva applicato un potente veleno, e il melo si era ripreso.

Quante volte, vedendolo in fiore in questi tre anni, ho creduto che anche tu saresti rifiorito e finalmente avremmo potuto dimenticare questa brutta parentesi. Cosi, quel giorno, alla vista delle fantastiche mele che Militina ti aveva portato da Roma, anche se tu stavi molto male, avevo avuto la certezza della tua guarigione.