Mentre ti porgevo il biberon, ti stringevo teneramente approfittando dei brevi momenti che mi era consentito tenerti in braccio senza timore di viziarti.

E ti sussurravo la tua storia.

Mio dolce, caro, tenero Pitacino – allora ti chiamavamo cosi – tu sei nato nel cuore di mamma e papà, perché sei nato dal nostro amore. Ed é tale la gioia che ci hai dato, che qualsiasi descrizione sarebbe una piccola cosa incompleta. E ti guardavo, e carezzavo la tua carnagione vellutata, le tue guance di gommapiuma, le tue gambette rosee piene di ciambelle, e non credevo che tu fossi vero, reale, palpitante.

Forse é per questo che la notte mi alzavo in continuazione, interrompendo i sogni per vedere se eri pure tu un sogno, oppure per sincerarmi che eri lì con noi, vivo, vero, reale.

E tu, a dispetto di queste mie ansie, dormivi, anzi russavi tranquillamente, con un’espressione beata. Anche il giorno del tuo battesimo, giorno nel quale il caos di casa Salabé era arrivato al diapason, tu hai schiacciato i tuoi metodici pisolini, ed hai mostrato di gradire pure il sale della sapienza che il sacerdote maldestramente ti ha infilato in bocca.